KAMIKAZE MON AMOUR
di e con ANDREA BRUGNNERA
Kamikaze è la storia di un Amore: un Amore incominciato ai tempi dell’ Infanzia Eroica, quando tentavo di far decollare acquiloni e spiavo le cineserie che mia madre dipingeva su porcellana.
Certo allora il Giappone mi era già dentro: un ‘Asia fantastica che stava dalle parti della Cina, remota e rococò, dove il Canto dell’Usignolo di Andersen consolava i ragazzi sopravvissuti di Nagasaki.
Il volto malinconico e bellissimo di quei ragazzi mi muoveva a solidarietà non tanto per la tragicità delle loro stampelle, quanto per le stuoie su cui dormivano e i collegi che li rinchiudevano come avevano rinchiuso me: il loro sorriso nasceva appena dall’ombra della visiera del berretto americano, restava sospeso crocifisso alle strisce di sole della veneziana semichiusa, risplendeva nel chiaroscuro della pellicola anni ’50 per imprimersi, infine, nell’Anima come un Simbolo, un Alter-Ego all’altro Polo del Pianeta, una nostalgia anche un po’ mia di un Mondo più perfetto e più sfortunato.
Durante l’Adolescenza riconobbi quel volto in ogni abitacolo di Zero che esplodeva inesorabilmente nei fumetti di Supereroica o nelle grandi ricostruzioni dello schermo, incalzato dal biondo eroe occidentale di circostanza e, così simile nel suo precipitare, ai miei Aquiloni.
E allora: perché non cantare – oggi – con pascoliana voluttà e con grottesca ironia di quei volti sconfitti, di tutti coloro che sono perdenti e che al mondo “han visto cadere gli Aquiloni”?
Dico “cantare” perché di un Canto si tratta di un Epos teatrale più narrato che interpretato, dove l’attore – stanco dello Spettacolo – si rifugia ancor più nel Teatro, dentro cioè alle sue proprie Origini: scena nuda e Personaggi vestiti. Vesititi di iconografia, parodia, tragedia, storiografia, radiocronaca, haiku, leggenda, gioco, cinema, fumetto, pantomima, diari di Sopravvissuti, repertorio popolare. Da Pearl Harbour a Hiroshima: l’Attore si sdoppia, proietta, atomizza. Vorrebbe essere maschera, giullare e più indietro ancora garzone di Omero per raccontare una sua Guerra di Troia.
A sostegno di tale presunzione abbiamo prediletto alcuni punti di vista: c’è il contrasto Tragedia – Commedia dell’Arte, all’interno del quale lo spettatore potrà ritrovarsi contiunamente sospinto; c’è il materiale reale della vicenda, che interseca al percorso individuale del protagonista i molti documenti e narrazioni degli avvenimenti storici.
C’è infine un Oriente che è stato sempre temuto e tenuto fuori dalla porta di casa, forse perché troppo incomprensibile.
Ma proprio per questo, perché misterioso (come a volte è la mia Terra d’origine) mi sono permesso di trascinarmelo dentro, questo Giappone, facendolo passare per il tinello e posandolo sulla scrivania: nasce da qui il difficilissimo esperimento filologico di ricondurre al Veneto di mia Nonna quello ben più terribile dei Samurai.
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foto: Daniele Radaelli